La motivazione si può definire come quella spinta o quell’insieme di processi interni che avviano, dirigono e sostengono il comportamento dell’atleta verso i propri obiettivi e in particolare verso il proseguo della pratica nonostante le difficoltà; in pratica è il “perché” dietro l’impegno costante e la ricerca di una buona prestazione di ciascun atleta. Per poter capire come agire sulla motivazione di un’atleta è prima di tutto importante comprendere da dove essa provenga: ognuno di noi può essere motivato a svolgere un’attività secondo una motivazione intrinseca oppure una motivazione estrinseca. Se pensiamo ai motivi per cui un bambino inizia a giocare a calcio, a rugby o a pallavolo vi sono sicuramente una serie di sensazioni come la gioia di sentirsi competente, il divertimento e la possibilità di sentirsi in grado di modificare sé stessi e la realtà circostante. Tutti questi aspetti rappresentano la motivazione intrinseca ovvero lo svolgimento di un’attività per il proprio piacere e interesse che rappresenta il più alto grado di motivazione per l’individuo. La motivazione intrinseca viene dunque sviluppata durante l’infanzia e la prima adolescenza (11-13 anni) e rappresenterà la colonna sonora, tendenzialmente stabile, di una carriera sportiva. Di contro, vi è la motivazione estrinseca che invece fa riferimento alla messa in atto di un’attività per ottenere altro (ricompense materiali o non) e non tanto per il piacere dell’attività stessa; in questa tipologia di motivazione possono rientrare il bisogno di appartenenza, di riconoscimento sociale o l’affettività. Questo tipo di motivazione si caratterizza su dei rinforzi esterni che risultano quindi molto instabili e imprevedibili: il classico esempio può raffigurare un ragazzo che pratica sport con il fine di compiacere il genitore. Inoltre, vi è un altro aspetto molto importante da tenere in considerazione e che veicola la forza e la continuità di un’atleta; aspetto che ci porta a porci una semplice ma profonda domanda: perché alcuni atleti puntano a sconfiggere l’avversario mentre altri si concentrano solo a superare se stessi? Secondo la psicologia ognuno di noi può essere mosso da due forze motivazionali: se si è orientati al compito il senso di competenza e successo deriva dal miglioramento personale, dal progresso e dal raggiungimento di obiettivi autodeterminati; qui la parola chiave è sforzo: l’impegno è visto come fattore centrale del successo e gli errori sono considerati parte del processo di apprendimento. Se invece si è orientati al risultato il senso di successo è basato sul confronto sociale per cui ci si sente competenti solo se superiori agli altri oppure si è percepiti dagli altri come “forti”. Il focus in questo caso è sul risultato finale, non sul processo, il valore dell’impegno può essere percepito come irrilevante e gli errori sono visti come minacce al proprio valore. I due stili non si escludono a vicenda, piuttosto costruiscono una tendenza stabile verso uno dei due fronti che può essere influenzata dal contesto sociale e sportivo. Perché è importante conoscere questi aspetti della motivazione ? La spiegazione, come troviamo in letteratura, ci mostra come sia estremamente importante favorire la tendenza a concentrarsi sul processo e sull’acquisizione di competenze affinché si ottengano atleti capaci di autoregolarsi, di gestire le situazioni di difficoltà in autonomia e di essere parte produttiva e positiva di un gruppo-squadra. Nel prossimo articolo si affronterà dal punto di vista pratico questo aspetto, cercando di capire che ruolo giochi una delle figure più influenti in una società sportiva: l’allenatore.